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9 August 2024

Il Consiglio Di Stato Annulla La Sentenza Del TAR Lazio: Negata La Dipendenza Economica Di SIAE Nei Confronti Di Meta

Con la sentenza n. 5827/2024, emessa il 16 maggio 2024 e pubblicata il 2 luglio, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ("CdS") ha riformato la sentenza n. 16069/2023 del TAR Lazio, stabilendo, tra le altre cose.
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Con la sentenza n. 5827/2024, emessa il 16 maggio 2024 e pubblicata il 2 luglio, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ("CdS") ha riformato la sentenza n. 16069/2023 del TAR Lazio, stabilendo, tra le altre cose, che tra SIAE e Meta non sussista una dipendenza economica.

I fatti pregressi

La controversia tra SIAE e Meta era scaturita dalla fase di negoziazione per il rinnovo del Music Rights Agreement ("MRA"), l'accordo di licenza con cui gli utenti delle piattaforme social di Meta possono pubblicare contenuti accompagnati da opere musicali coperte dal diritto d'autore, tutelato dalla SIAE. Nell'aprile del 2023 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ("AGCM" o "Antitrust") aveva avviato un procedimento contro Meta, per accertare eventuali violazioni dell'art. 9 della L. 192/1998, in merito all'abuso di dipendenza economica. Il 20 aprile 2023 AGCM aveva quindi emanato un provvedimento con il quale aveva disposto l'immediato ripristino delle trattative e dei contenuti musicali tutelati da SIAE all'interno delle piattaforme di Meta. La società californiana aveva dunque impugnato tale provvedimento davanti al TAR Lazio, che lo aveva rigettato con la citata sentenza n. 16069/2023.

Il precedente provvedimento dell'Autorità

L'AGCM, nel proprio provvedimento, aveva richiamato l'art. 9 della L. 192/1998, il cui primo comma, così come modificato dalla L. 118/2022, riporta che "salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un'impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati". L'Autorità aveva ritenuto che la mancata acquisizione dei contenuti musicali tutelati da SIAE penalizzava in modo significativo gli autori, ponendola in una posizione di oggettiva debolezza, in quanto la diffusione sui social network di detti contenuti rappresenterebbe un modello di business irrinunciabile, non avendo SIAE alternative sul mercato.

Inoltre, l'AGCM aveva ritenuto sussistere l'abusività della condotta di Meta anche in riferimento al comma 2 dell'art. 9, il quale stabilisce che "le pratiche abusive realizzate dalle piattaforme digitali di cui al comma 1 possono consistere anche nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all'ambito o alla qualità del servizio erogato e nel richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dell'attività svolta, ovvero nell'adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l'utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l'applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere". Nella visione dell'Autorità, l'indebita interruzione delle negoziazioni e il diniego di fornire a SIAE le informazioni richieste avevano integrato quanto previsto dalla suddetta norma.

Le decisioni del Consiglio di Stato

I motivi del ricorso di Meta al massimo giudice amministrativo hanno coinvolto vari aspetti della suddetta sentenza del TAR Lazio: l'applicazione della presunzione da parte dell'AGCM; la situazione di dipendenza economica di SIAE; la presenza di alternative soddisfacenti; il fatto che la controversia vertesse solo sull'Audio Library e non sulla pubblicazione o promozione dei contenuti musicali sulle piattaforme; la rilevanza del fatturato.

Il CdS ha ritenuto che il provvedimento dell'Autorità avesse un presupposto errato. Infatti, l'oggetto della negoziazione non era la concessione della licenza alla diffusione verso gli utenti finali dei contenuti musicali attraverso le piattaforme social, bensì la sola raccolta dei contenuti protetti da SIAE nell'Audio Library. Essa è infatti una mera funzionalità che Meta integra sulle proprie piattaforme, da cui attingere per video o reels, ma l'eventuale indisponibilità sulla stessa non impedisce la condivisione sui social di contenuti con sottofondo musicale premontato. Le piattaforme di Meta si limitano quindi a rendere disponibile agli utenti l'archivio dell'Audio Library: il Consiglio di Stato, al contrario dell'AGCM, non ha ravvisato nel

Ruolo di Meta una funzione di intermediazione. Inoltre, l'eventuale mancata conclusione di un accordo tra le parti non impedirebbe agli utenti delle piattaforme social di fruire, in senso assoluto, dei contenuti protetti, che potrebbero essere comunque diffusi e promossi, anche dagli stessi autori, sulle piattaforme social di Meta. Da qui, la decisione del CdS sulla mancanza della presunzione di cui al comma 1 dell'art. 9 della citata legge.

Anche in merito alla presenza di alternative soddisfacenti sul mercato, il massimo giudice amministrativo ha ribaltato la prospettiva dell'Autorità. Infatti, l'assenza di alternative non deve essere intesa in senso assoluto, in quanto non è dimostrato che gli utenti finali non possano essere raggiunti in altro modo se non con le piattaforme di Meta. Il Consiglio di Stato ha quindi ribadito che la mancata definizione del contratto di licenza fra SIAE e Meta non preclude la veicolazione dei contenuti musicali sui social o la loro fruibilità, ma soltanto la loro presenza sull'Audio Library.

Il Giudice ha poi considerato che Meta, diversamente da quanto sostenuto dall'AGCM, non aveva fornito un rifiuto generalizzato alla condivisione degli elementi informativi necessari per la valutazione dell'offerta, avendone invece comunicati una larga parte.

L'applicazione della Direttiva Copyright al caso di specie

La sentenza del Consiglio di Stato si occupa infine dell'applicazione degli artt. 18 e 19 della "Direttiva Copyright" n. 790/2019. Meta sostiene, infatti, che il TAR Lazio abbia sbagliato nel ritenere che tali norme si debbano applicare anche nella fase di negoziazione, nella quale attualizzare gli obblighi informativi; secondo la ricorrente, nel caso di specie si è in presenza del cd. value gap, ossia una sopravvenuta incongruità del valore dei diritti concessi rispetto al prezzo precedentemente pattuito, e quindi gli articoli in questione non sarebbero da applicarsi.

Occorre quindi riportare il contenuto di tali articoli per meglio comprendere la vicenda. A mente dell'art. 18, autori e artisti che concedono in licenza o trasferiscono i diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere, hanno il diritto di ricevere una remunerazione adeguata e proporzionata. L'art. 19 stabilisce poi che gli stessi debbano ricevere regolarmente informazioni aggiornate, pertinenti e complete sullo sfruttamento delle loro opere da parte di coloro ai quali hanno concesso in licenza o trasferito i diritti, in particolare per quanto riguarda le modalità di sfruttamento, tutti i proventi generati e la remunerazione dovuta.

Il Consiglio di Stato ha sottolineato come, nel caso di specie, si è in una fase di rinegoziazione delle condizioni originariamente pattuite e che la volontà delle parti di proseguire nell'accordo era implicitamente manifestata dalla pendenza delle trattative, coerentemente con quanto previsto dalla normativa europea.

Inoltre, l'art. 19, secondo Meta, escluderebbe la comunicazione dei ricavi generali non direttamente collegati allo sfruttamento dell'opera, limitando la divulgazione alle sole informazioni necessarie. Il CdS ha ritenuto che, per quanto tale norma preveda un generico obbligo di informazione sui "proventi generati" dall'utilizzo dei contenuti musicali, l'art. 22 del d.lgs. 35/2017 (che ha recepito in Italia la cd. "Direttiva Barnier") stabilisce che lo scambio di informazioni tra gli organismi di gestione collettiva e gli utilizzatori debba avvenire secondo buona fede, riguardando tutte le informazioni necessarie, ma senza ulteriori specificazioni. Anche il comma 2 del succitato art. 9 della L. 192/1998 non offre indicazioni maggiormente specifiche, riportando solo che le pratiche abusive possono consistere anche nel fornire informazioni insufficienti in merito al servizio erogato. Di conseguenza, afferma il Consiglio di Stato, era errato il provvedimento dell'AGCM nella parte in cui riteneva insufficiente l'obbligo di informazione spettante a Meta, che aveva invece provveduto a fornire un'ingente quantità di dati, non essendo infatti stato indicato in cosa sarebbe eventualmente consistita l'omissione.

Il CdS ha comunque sottolineato il fatto che, nel giudizio in oggetto, non ha accertato in maniera definitiva l'effettiva esistenza di una posizione dominante di Meta nello specifico mercato di riferimento (e la relativa condotta abusiva), oltre alla conseguente condizione di dipendenza economica di SIAE, in quanto saranno valutate dal definitivo provvedimento dell'AGCM, che verrà adottato all'esito del procedimento principale.

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