Le festività natalizie non hanno interrotto i lavori del Governo sul c.d. Jobs Act.
Con l'entrata in vigore, il 16 dicembre scorso, della legge n. 183 del 10 dicembre 2014, il Governo è stato delegato ad intervenire, mediante decreti legislativi, su 5 macro-aree del diritto del lavoro e delle politiche sociali.

Successivamente, nel corso del Consiglio dei Ministri del 24 dicembre 2014, il Governo ha approvato i primi due decreti legislativi attuativi, l'uno in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, l'altro in materia di NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale Per l'Impiego) che sono poi stati trasmessi alla Camera affinché questa formuli entro 30 giorni un parere non vincolante sul merito.

Il decreto sul contratto a tutele crescenti si applicherà solo ai lavoratori (esclusi dirigenti e dipendenti pubblici) assunti successivamente alla sua entrata in vigore e prevede che, in ipotesi di accertamento giudiziale della illegittimità del licenziamento per motivi economici o disciplinari, i lavoratori non avranno più diritto alla reintegra nel luogo di lavoro (c.d. tutela reale, ex art. 18 L. n. 300/1970) ma solo ad una indennità risarcitoria commisurata all'anzianità di servizio. Unica eccezione si avrà, relativamente ai soli licenziamenti disciplinari, per insussistenza dei fatti contestati al lavoratore.

Al contrario, la nuova NASpI avrà un effetto espansivo, giacché sarà corrisposta a partire da maggio ma il diritto all'assegno maturerà con effetto retroattivo al 1° gennaio e spetterà a tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso la propria occupazione (tranne i dipendenti del settore pubblico ed agricolo). Inoltre, l'indennità è fissata ad un tetto massimo di 24 mensilità, rispetto alle 18 della precedente Aspi della Legge Fornero.

Se da un lato, quindi, la riforma dell'Aspi è stata salutata con favore da sindacati e lavoratori, dall'altro si sono affacciate numerose polemiche e perplessità sulla riduzione delle garanzie finora previste dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, nell'ottica di un possibile uso discrezionale del licenziamento da parte dei datori di lavoro.

Certo è che la suddetta riforma garantirebbe una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e forse anche una più compiuta attuazione del principio di libertà di iniziativa economica delle imprese e del principio di meritocrazia nel rapporto di lavoro individuale.

In tal modo, probabilmente, la realtà imprenditoriale italiana riuscirebbe a ritagliarsi un importante spiraglio che le permetta di migliorare la propria gestione interna e la propria efficienza, soprattutto in termini di migliore adeguamento al mutato (e mutevole) contesto economico e sociale.
 

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